venerdì 24 settembre 2021

 Pontremoli e il Registrum Magnum del Comune di Piacenza

Di poi il 6/11/1194 abbiamo i Capitoli della pace tra il marchese Moroello Malaspina e suo figlio Guglielmo. “…iuraverunt pacem et concordiam Placentinis et Pontremulensibus…” che sono giurati alla presenza del vescovo di Piacenza Ardizzone, di quello di Bobbio Ottone, e di altri. I Malaspina si impegnano tra l’altro alla remissione di tutti i danni commessi alla data del “preceptum quod…imperator fecit in Pisanis parti bus”; a concedere libertà di transito, a non far guerra né a passare per il territorio della controparte per fini di guerra, a smantellare il castello di Petracorva e a non consentirne la ricostruzione e di fare altrettanto per Grondola, a non ammettere nel proprio territorio chi intenda muovere guerra ai Piacentini e ai Pontremolesi. “In nomine domini nostri Iesu Christi, amen.Nos marchiones Malespine facimus pacem et tenebimus vobis Placentinis et Pontremulensibus et omnibus vestri comitatus…” Nos Placentini et Pontremulenses facimus pacem et tenebimus vobis marchionibus Malespine et ho minibus vestris,et specialiter Tedaldo de Pontremulo  et hominibus Petre Corve”(25).

Grondola 


Il Campi ne parla a riguardo dei problemi sorti ancora fra Piacentini e Pontremolesi che nel 1194 vennero alle armi e “finalmente si concluse fra essi la pace, la quale nel mese di novembre dell’anno appresso si ristabilì nel palazzo episcopale di Piacenza alla presenza del vescovo Ardizzone, d’Ottone vescovo di Bobbio e de’ consoli della stessa città… (Da Locatelli Umbertus, Historia Placentiae, fol.108)” (26). 

Sempre il 6 novembre 1194 Moroello e Guglielmo, alla presenza degli stessi testimoni, giurano che faranno giurare a Corrado di Obizzo la pace già giurata dai Malaspina con Piacentini e Pontremolesi. (27)

Dopo un anno, Il 17 dicembre del 1195, a Piacenza, troviamo citato un Istrumentum sacramenti   dove Alberto Malaspina, anche a nome di Corrado suo nipote, dà a Piacenza sia il poggio di Grondola col suo castello e tutti gli altri poggi della stessa corte. Giura che aiuterà Piacenza contro Parma e i Parmigiani se questi cercheranno di occupare Grondola. Il giorno stesso giura fedeltà a Piacenza (28). La Curia di Grondola va quindi a Piacenza e non a Pontremoli che ne aveva, come visto, le consuetudini. Di più, nell’atto di ciò non se ne parla e Pontremoli viene citata solo in ultimo “…ad quam tenutam accipiendas iandisctus comes Azo potestas Placentie constituit a parte communis Iacobus Calvum, potestatem Pontremoli tunc electum,nomine communis tenutam tollere et vice communis accepere”. 

Grondola 


Il 18 o 17 marzo 1198 a Piacenza, Corrado Malaspina, figlio del fu Obizzo, conferma la cessione dei poggi della corte di Grondola fatta al comune di Piacenza e per esso al conte Azzone suo Podestà da suo zio il marchese Alberto, nonché gli accordi intervenuti tra lo stesso Alberto e il medesimo Comune. Egli inoltre giura di osservare la pace e l’accordo fatto dal marchese Moroello e da suo figlio Guglielmo con i Piacentini e Pontremolesi. (29)

In virtù degli accordi intervenuti coi Piacentini e quindi anche coi loro alleati, I Malaspina devono poi impegnarsi anche coi Milanesi e il 17/10/1200, abbiamo i Capitoli dell’alleanza tra i Milanesi (rappresentati da Arnaldo di Sopracqua e Corrado Alberio console dei mercanti) e i Piacentini (per mezzo di Rogerio da Sarturano e Lotario Barelli anch’egli console dei mercanti) da una parte, dall’altra i marchesi Malaspina Alberto e suo nipote Corrado figlio del fu Opizone, anche a nome di Guglielmo del fu Moroello, contro Pavesi e Parmensi. Tra l’altro i Malaspina si impegnano proteggere le persone e i beni dei Milanesi e dei Piacentini e dei loro alleati e cioè Bresciani, Comaschi, Landensi e Veronesi, senza concedere loro il passaggio nel caso che intendano muovere contro il marchese del Monferrato; a far guerra ai Pavesi e agli altri nemici di Milano e di Piacenza, ma non al marchese del Monferrato; a impedire il passaggio per i loro territori ai Pavesi e agli altri nemici delle due città. Se Comaschi, Lodigiani e Novaresi vorranno unirsi all’accordo, i Malaspina sono tenuti ad accoglierli. Il patto non pregiudica la fedeltà al vescovo di Bobbio. Compare nell’atto ancora Pontremoli, ma non come alleato, a dimostrazione che ormai i giochi sono fatti e i Malaspina, vassalli di Piacenza, avranno una vita diversa.

Bobbio


Milanesi e Piacentini devono aiutare  i marchesi contro Pavesi e Parmigiani e diversi avversari… Et committent se Placentinis de omnibus discordiis quas habent cum Pontremolensibus et de toto quod aquisiverunt a marchione estensi in Lunexana, ad fatiendum datum et finem quibuscumque et qualitecumque Placentini  dixerint,recepro quod inde defenderunt,ita quod quantitas non excedat sommam  nongentarum quindecim librarum imperialium.…eo intellecto et dicto quod marchiones non teneatur prohibere negociatores per Lunexanam ire nisi Pontremulenses prohibuerint. …et adtendent salvis sacramenti Pontremoli. (30)

 Viene ripetuta il 9/9/1212 la “Concordia” tra i marchesi Corrado e Guglielmo Malaspina da una parte, dall’altra i Milanesi e i Piacentini; in essa le due parti si impegnano reciprocamente ad assicurare nei rispettivi territori l’indennità delle cose e delle persone, a non recarsi offesa, a garantirsi la mobilità, a garantire che non subiscano offese da altri. Inoltre i Malaspina assicurano che interverranno a fianco degli alleati entro 15 gg dalla richiesta e che non faranno pace separata nè tregue se non di comune accordo. Le due città si impegnano ad aiutare i marchesi contro chiunque fino al termine della guerra, se questa sarà condotta di comune intesa, a fornire un congruo aiuto in caso diverso. L’accordo sarà rinnovato ogni 5 anni con giuramento e lo si dovrà inserire nel breve communis di Milano e Piacenza.

 Si conviene che i Malaspina metteranno a disposizione dei due comuni le fortificazioni in valle Staffora, in valle Nizza,in val Curone e val Borreca con l’eccezione di Oramala; che i mercanti milanesi e piacentini percorreranno il territorio marchionale passando per le strade della Valtrebbia, e per tale percorso si concorda l’ammontare del pedaggio,come pure per quello della strada di Tortona con l’intesa che si faranno restituire ai mercanti i beni eventualmente loro sottratti ma non il denaro personale. Il 13 settembre a Piacenza giura Giovanni di Borgotaro, corriere, e il 28 giura Opizzino figlio di Guglielmo che diverrà poi signore del marchesato di Filattiera. Non viene nominato Pontremoli a conferma di una ormai definitiva rottura di rapporti col Comune di Piacenza, anche se il documento non riguarda le zone e le vie controllate da quest’ultimo in Lunigiana. (31)

Pontremoli

La pace ed i rapporti con la Langobardia, sembra possano favorire i rapporti commerciali e appare un Pontremolese che va a stanziarsi a Chiavenna, tale Oberto, forse della genia adalbertenga e così si legge che gli stessi consoli investono Oberto da Pontremoli del fitto perpetuo di un terreno sito nel castello di Chiavenna “iuxta portam que est versus Placentiam”. (32)

Nel 1221 i Malaspina, ormai abbandonata la Valtaro, si stabiliscono in Lunigiana con l’atto definito nella chiesa di Sant’Andrea a Parma, ma vediamo che il clima è cambiato.  I marchesi, ancora potenti, ma vassalli del comune di Piacenza, cercano di insidiare e comunque riavere il territorio pontremolese, come definito nel diploma di Enrico del 1077, e nel tempo occupano Godano e Zeri (33) e si sviluppa l’alleanza con i Piacentini che temono forse il blocco del passaggio sulla Francigena, proprio nel Pontremolese.



Ruderi castello di Zeri


Nel 1226 abbiamo il diploma di Federico II che conferma “Comune Pontistremuli, fideles nostri…confirmamus eis et heredibus  ac successoribus eorum in perpetuum omnes terras…quidquid feudi et benefici…ab utroque flumine Caprie supra, sicut dividentur terre Marchionum Malaspine per illa due flumina…Belvedere cum totacuria,quartam partem Montislongi, Cerri cum totacuria” anche se il Giuliani non sembra volere fare coincidere per ragioni fonetiche Cerri con Zeri, senza però proporre altre soluzioni. 

Ne scrive anche il Campi “Federigo II imperatore, portandosi da Roma in Lombardia e passando per Pontremoli fu ivi da’ Pontremolesi accolto con sommo onore e singolare dimostrazione di allegrezza. Onde, in ricompensa,concesse alla comunità il libero possesso di tutta la giurisdizione cò suoi confini, ed altre grazie, come si può vedere dallo infrascritto privilegio; ed è registrato nello statuto (Liber IV, cap.9) (34)

Quindi il 28/4/1229, a Piacenza è “Concordia cartule” tra il marchese Malaspina a nome anche di suo zio Corrado, e il comune di Piacenza rappresentato dal podestà Guglielmo Saporito che agisce anche a nome del consiglio e dei consoli comunali e dei paratici. In essa le due parti si promettono aiuto reciproco nella guerra che stanno conducendo contro Pontremoli:” …ad voluntatem communis Placentie,et guerramet offensiones et pacem cum totum eorum forcia Pontremulesibus et omnis aliis terris et personis ad voluntatem communis Placentie”,stabilendo che se uno concluderà una pace o una tregua, lo farà anche a nome dell’altro. 

Il marchese si impegna a fare prestare una consimile promessa a Corrado e a rispettare comunque l’accordo anche se lo stesso Corrado non lo rispetterà. I Piacentini prendono il marchese Obizzo sotto la loro protezione e a richiesta dello stesso marchese Malaspina gli promettono di difendere ed aiutare lo stesso marchese e le sue terre e i suoi uomini contro i Pontremolesi e contro ogni terra che vorrà fare guerra agli stessi marchesi.

Il Comune di Piacenza si impegna a fornire a proprie spese ad Obizzo, 100 soldati che risiederanno nelle terre del marchese, senza che da ciò derivino acquisizioni di diritti ai Piacentini o pregiudizi ai Malaspina e salvi i diritti della Lega, delle città della Lombardia, Marca e Romagna. Indi i rappresentanti delle due parti prestano giuramento e si decide che il podestà di Piacenza faccia prestare lo stesso giuramento al suo successore, mentre il marchese farà giurare tutti gli uomini delle sue terre tra i 15 e 70 anni. (35)

Il Campi riporta che nell’anno i Malaspina ormai rafforzati dall’alleanza, occupassero Teglia e Rossano, dopo che i Pontremolesi avevano occupato la Rocca Sigillina e del fatto ne parlano sia il Ferrari che il Giuliani.



Rocca Sigillina


La “Concordia cartule” viene ripresa il 12 e 13 agosto 1230 a Rivergaro e Piacenza, ed è   “concordia” tra il marchese Corrado Malaspina e il comune di Piacenza rappresentato dal podestà Guglielmo Saporito. Questi si giurano aiuto reciproco nella guerra che stanno conducendo contro Pontremoli o altre città. ”…ipsi Puntremulenses guerram fecerint velin ceperint ipsi marchioni,commune Placentie iuvabit defendere et manuntenebit ipsum marchionem de illa guerra,ut supra dictum est.” o persone, eccettuato il marchese Obizzo Malaspina, signore di Filattiera, nonché di estendere ciascuna parte all’altra le condizioni di pace o tregue che possano concludersi. Stabilisce inoltre che il marchese Corrado farà giurare l’osservanza di quanto contenuto nella concordia a tutti gli uomini del suo distretto e che egli riceverà dai Piacentini la metà degli uomini che lo stesso comune fornirà al marchese Obizzo. (36)

Nel frattempo si sviluppa la lotta fra Pontremolesi e Parmigiani contro i Piacentini per Grondola. Nel 1245 è Federico II che ne fissa i confini nell’atto in cui lo cede al Comune di Parma; il Campi ne narra esaurientemente traendolo dall’archivio comunale di Parma. (37)



Grondola 


sabato 18 settembre 2021

 

Dopo la Pace di Costanza del 25 giugno 1183 a cui partecipano il Barbarossa e le città ribelli assieme ad Obizzo Malaspina, riprendono le lotte fra le varie città del Nord, soprattutto per motivi di rivalità commerciale. (15)

Il successore Enrico VI, figlio del Barbarossa, morto nel 1190, scende in Italia per cingere la corona, conferma le regalie a Piacenza e prende in due atti, i Pontremolesi sotto di sè.

Il Barbarossa


Il primo atto è a Lodi, il 21 gennaio 1191, dove abbiamo un accordo tra Enrico VI e Piacentini. Il sovrano li prende sotto la pienezza della sua grazia e conferma le regalie anche se non comprese nella Pace di Costanza. I Piacentini dovranno aiutarlo a mantenere e recuperare i suoi possessi e specie quelli “in podere comitisse Mathildis”, fatti salvi i diritti della Lega. Su richiesta dei Piacentini “Puntremulenses quoque.ad peticionem Placentinorum, in nostram gratiam et protectionem et defensionem, recepimus”, cioè prende sotto la sua protezione anche Pontremoli. Quando sarà incoronato imperatore a Roma, le concessioni saranno rinnovate. (16)   

Pontremoli

 

Frattanto continuano le trattative di pace, dove sono coinvolti anche i Parmigiani, ormai affiancati ai Malaspina e il 25/3 e poi 23/9 del 1191 abbiamo i termini della pace fra Piacentini, Pontremolesi  e Parmigiani, Oldelberti e Grondolesi. Per i castelli di Specchio e di Ena, saranno scelti due cittadini di Reggio e due di Milano, ci saranno giuramenti vicendevoli e verranno restituiti i beni già tolti. “De facto Grondole ita debet esse cum illis de Puntremulo, quod pax debet esse inter eos et finis de omnibus malelficiis et dampis atque iniurris datis hinc inde…”  Tra gli abitanti di Grondola e Pontremoli ci sarà lo stesso giuramento che fra Parma e Piacenza. Grondola conserverà lo stato presente: “Grondola permanente in suo statu…et consuetudines pontremolensium, quod soliti sunt habere in Grondola,habeant” e sarà pace con gli Odelberti, a cui si renderanno gli immobili. Sui nuovi castelli decideranno i medesimi giudici, reggiani e milanesi. (17)

Grondola


E’ quindi la pace fra Parmigiani e Piacentini e così finalmente anche i Pontremolesi, oltre ai Piacentini, avranno la garanzia di avere Grondola sulla quale pare come si legge, avessero già un ben definito possesso.  Compare anche il nome degli Oldelberti; forse un ramo degli Adalberti o forse la casata intera, estromessa da nuove famiglie impostesi o forse altre figure, anche perché potrebbe essere che il nome originario dei fondatori del Comune sia ormai stato sostituito da nuovi intrecci cognatizi.

Il secondo riconoscimento è la Pagina concessionis, in obsidione Neapolis del  5 giugno 1191 (18) dove  Enrico VI, a ricompensa dei servizi prestatigli, concede ai Piacentini le regalie che essi sono soliti avere e che non sono comprese nella pace di Costanza; li prende sotto la sua protezione, si impegna ad aiutarli a recuperare tutti i loro possessi e a fare giurare gli uomini di Borgo San Donnino e di Bargone che aiuteranno i Piacentini in ogni guerra. In cambio aiuteranno il sovrano a recuperare i suoi possessi in Lombardia e specialmente i beni che furono della contessa Matilde, senza che essi debbano agire contro le concessioni fatte alla Lega Lombarda. Anche i Pontremolesi per richiesta dei Piacentini vengono accettati in protezione e grazia: “Puntremolenses quoque, ad peticionem Placentinorum, in gratiam, protecionem ac defensionemnostram recipimus”. Giurano i patti i suoi camerlenghi Rodolfo di Sibenech e Enrico di Lutra. Sono presenti diversi vescovi e duchi. 

Fidenza, San Donnino


8 (18) maggio 1192, Crema, i delegati di Brescia e di Milano ordinano a quelli di Parma e Piacenza con Pontremoli di osservare la pace e di attenersi alle condizioni che della pace saranno a loro dettate. Per Pontremoli è presente Achilli consuli et legato Pontremulensium, vice communis  Pontremuli.(19)

Ancora dopo due mesi,il 15 luglio 1992, Addobbato Butraffo console di Milano, recatosi a Crema per trattare la pace tra Piacentini, Pontremolesi e Parmigiani, convocate le parti per l’ottava di S.Pietro, dichiara che i rappresentanti di Piacenza, Pontremoli, Milano e Brescia erano presenti “…paratos obedire et adimplere omnia nostra precepta que facere velimus de pace quam de aliis negociis…”, ma non quelli di Parma e non ne spiega il motivo.(20)

Siamo nel periodo della Lega lombarda e il 12/1/1194 a Vercelli, i rappresentanti di Pavia, Cremona, Bergamo, e Como giurano di attenersi alle condizioni di pace con Milano, Brescia, Piacenza, Novara, Alessandria, Asti, Crema, Pontremoli, Gravedona, Domassio… e Chiavenna che saranno stabilite da Drusardo, delegato dell’imperatore. All’atto non paiono essere presenti i rappresentanti di Pontremoli. Drusardo, nel 1194, entrato in Italia, fece pubblicare bandi nelle città nei quali comandava la tregua. Tutti obbedirono salvo i Malaspina e i Parmigiani. (21)

Federico I


Il 20 aprile 1194, il delegato imperiale Drusardo ordina a Milano, Brescia, Alessandria, Crema, Pontremoli, Chiavenna, Domassio, Gravedona e a tutti gli uomini e le località da esse dipendenti, fatta eccezione di Parma e dei marchesi Moruello e Alberto Malaspina, messi al bando dall’impero, “…exceptis Parmensibus, marchione Monruello et  fratre ipsius Alberto…” di osservare le condizioni di pace con il marchese del Monferrato, i Pavesi, Cremonesi, Lodigiani,Bergamaschi e Comaschi e nell’atto si prospettano le conseguenze di eventuali inadempienze  (22). Non viene citata Piacenza, ma solo Pontremoli e ne sfugge il motivo dal momento che Pontremoli da sola e al di là del crinale con la Langobardia, poco avrebbe potuto contare.

Il Branchi scrive che Enrico VI si incontrerà poi con Moroello Malaspina, che fatto salvo il rapporto coi Parmigiani, acconsentirà alla pace.

Continua però il rapporto conflittuale coi Malaspina, che persa Ena, sono ancora attestati, almeno formalmente a Grondola e il 7/10/1194 a Pontremoli, i consoli piacentini Giovanni di Malamena e Guglielmo Scorpione nominano il corriere Cimolello loro procuratore per ricevere dal marchese Alberto Malaspina il giuramento di attenersi alla pace che il marchese Moroello farà coi Piacentini e Pontremolesi (non citato nel regesto) (23).

L’11 ottobre 1994, a Filattiera (24), il marchese Alberto del fu Opizzo Malaspina giura nelle mani del corriere Cimolello, a ciò delegato dai consoli di Piacenza, che si atterrà alla pace da firmare tra suo fratello il marchese Moroello da una parte, i Piacentini e i Pontremolesi dall’altra.

Filattiera



sabato 4 settembre 2021

 

Pontremoli e il Registrum Magnum del Comune di Piacenza

                                                                                                  Sandro Santini

Come è noto la prima citazione di Pontremoli è del 990, di Sigerico, nel viaggio di ritorno da Roma per Canterbury. Prendeva il nome un ponte, detto forse pons tremulus, come tale citato anche nel 1110 da Enrico V nel viaggio verso Roma e che collegava le due rive della Magra, unendo i due piccoli borghi di Bambarone sulla destra del Verde e Borgovecchio, sulla sinistra della Magra. Questi furono poi distrutti dal Comune assieme ai castelli di coloro che prendevano casa nel paese, i “burgenses”, mentre nasceva l’oppidum medievale alle pendici del castello del Piagnaro. Secondo il Giuliani, il borgo “occupava poi la parte inferiore del versante sulla Magra e, a mezzogiorno, un tratto del versante sul Verde, sino alla parte più bassa che era detta la Bièdla, che probabilmente era uno dei piccoli abitati rurali, con mulino, dell’età precedente.” (1)

Pontremoli


Nel 1077, nel diploma di Enrico IV agli obertenghi Ugo e Folco, da cui poi gli Estensi, fra i beni loro assegnati è compreso anche Pontremoli. Tale investitura non ebbe effetto pratico anche se gli eredi poi, sia Estensi che Malaspina, sempre cercarono di insediarvisi. 

A Pontremoli si insediano invece, stando a Pietro Ferrari, gli Adalberti, famiglia di origine longobarda, discesa da un gruppo avvocaziale-carrarino-versiliese, poi titolare del gastaldato di Filattiera. 

Di fatto gli Adalberti ormai ne sono i padroni, anche se non è esclusa la protezione del vescovo di Luni che nell’assenza obertenga, in particolare del ramo dei Pallavicino, si era insinuato nella Lunigiana superiore. Da loro nascerebbe Oberto I, primogenitore degli Obertenghi, citato la prima volta nel 945 come conte di Luni.

 E’ Ubaldo Formentini che riporta nell’Enciclopedia Nazionale, le opinioni del Ferrari: “(Pontremoli) nel secolo XI appare in condominio degli Estensi; nei seguenti s’istituì in comune signorile, riconosciuto da Federico I nel 1167”(2).  

Stemma degli Estensi

                                       

Federico I imperatore, aveva già rilasciato nel 1164 un diploma ai suoi fedelissimi, tra cui i Malaspina, con la conferma di diverse possessioni. Era una mossa normale che serviva ad ingraziarsi i vari nobili che avrebbero potuto ostacolarne il cammino o comunque l’opera. In particolare riconosce ad Obizzo Malaspina, Zeri e Montelungo che saranno poi feudo del comune pontremolese. 

Diploma del Barbarossa


Ne scrive anche il Campi “Inviando l’imperatore Federico detto Barbarossa parte del suo esercito a Lucca in aiuto di Vidone Cremino Antipapa, detto Pasquale III, fra gli altri gravi eccessi commessi da’ suoi soldati in queste parti, l’uno fu il dare fuoco a parte di Pontremoli per il che, sdegnati non poco i pontremolesi, dopo aver estinto l’incendio, pigliando le armi, uccisero molti tedeschi, altri ne ferirono, ed altri sforzarono a proseguire velocemente il loro cammino(Da C.Sigonio, De regno Italiae, Vol. XIV”). L’episodio pare ricordare l’incendio del 1495 dovuto agli Svizzeri di Carlo D’Angiò, ma non abbiamo altre considerazioni. (5)

Pontremoli, come ricordato, dalla seconda metà dell’XI secolo si è ormai trasformato in “Comune signorile”, naturale evoluzione dell’espandersi dei membri della famiglia degli Adalberti, di cui è sempre un membro della famiglia che assume il comando del consorzio. 

E’ certamente un “Comune signorile”, in quanto dichiara il Barbarossa di concedere agli ”hominibus de Pontremolo omnia nostra regalia…alpes et privilegia”, dove homines starebbe per vassalli. Dopo di lui, il nipote Federico II nel 1226 scrive “…confirmamus ei set heredibus ac successori bus eorum in perpetuo omnes terras…quidquid feudi et benefici”, quindi una conferma della precedente investitura.


Virgoletta castello. L'Aquila grifagna degli Svevi

Col tempo e con l’entrata di famiglie nobiliari del contado, i burgenses, che prendono casa nel paese pur rimanendo vassalli dei loro seniores nelle loro terre, le cose si modificano. Alcuni studiosi dei secoli scorsi poi, richiameranno i progenitori di queste figure come abitanti della mitica Apua nata nel 412, da cui sorgerebbe poi Pontremoli, inventata o trasmessa da frate Annio da Viterbo e ripresa da generazioni di studiosi.

L’espandersi del comune di Piacenza alla ricerca del controllo delle vie necessarie al trasporto dei suoi prodotti senza pagare gli onerosi dazi e la sua lotta con i Malaspina, impongono al piccolo comune lunigianese di allearsi con questo per controllare la potenza della famiglia obertenga.

Piacenza, palazzo comunale


Nel 1175 a Reggio i Bresciani e i Milanesi ordinano ai Parmigiani, ai Piacentini e ai Pontremolesi di fare pace entro un mese ed è riportato dallo Sforza che lo trae dal Registrum Parvum di Piacenza. Potrebbe essere una trascrizione errata in quanto richiama un identico atto del 1192 dello stesso giorno, che vedremo più avanti, ma citato nel Registrum Magnum che riporta a pagina 497 solo edizioni dell’Affò, Stor.Parma, del Poggiali, Mem.Piac., Manaresi, Atti Milano e Corna Ercole Tallone, Reg.Mag. p. 319. (6)  

Registrum Magnum del Comune di Piacenza

    Sembra però che i rapporti fra i due alleati non siano al meglio. perché il 15 marzo 1182 a Bardi (7) abbiamo una “Concordiam Placentie et Pontremolenes que rupta est per Pontremolenses” tra Piacenza e Pontremoli, stabilita tra Malnepote e Oberto Scorpione consoli di Piacenza da un lato, dall’altro Alberto nipote di Rustico e Aifredo, consoli di Pontremoli, e da loro stessi giurata “prope castellum de Bardi”. 
Castello di Bardi



I Piacentini devono custodire e salvare i Pontremolesi e i loro uomini in persone e cose in tutto il loro distretto e aiutare e mantenere le loro possessioni e ragioni da ogni uomo che vorrà loro far male, salvo la fedeltà all’imperatore e salvo “sacramentis communis” e Società della Lombardia. Ignoriamo i motivi della rottura e della località scelta dalle parti, ovvero Bardi nella parmense Valceno.

Bardi era feudo piacentino e già nell’898, il vescovo di Piacenza Everardo aveva comprato la metà superiore della roccia di Diaspro rosso su cui insisteva un nuovo castello. Dell’episodio ne scrive anche il Campi “Nel 1181, nuove guerre e discordie per i confini incorsero fra i piacentini e i pontremolesi, quali vennero poi tra loro a convenzione appresso al castello di Bardi, promettendo ambo le parti di osservarsi fra di loro fedeltà” (Umberto Locatelli, Historia Placentiae,vol.III)(8) 

 I Conti di Castro Seprio, citati in ambito locale come Comites de Bardi erano vassalli del vescovo ed erano infeudati di terre vescovili nel territorio di Varsi (9). Documenti rogati fra gli anni 1169 e 1231, mostrano che la rocca di Bardi è controllata da questa famiglia. 

Nella divisione di beni effettuata fra i figli del marchese Guglielmo Pallavicino in data 26 febbraio 1227 si evince che la parte toccata ad Uberto ha come condomini i Pallavicino ed i Comites de Bardi. Altresì Solestella, appartenente alla famiglia dei Conti di Bardi e come tale detentrice di diritti sulla rocca di Bardi, fu moglie di Guglielmo Pallavicino e madre di Uberto il Grande, delegato imperiale in Lunigiana e Garfagnana, di cui tratta fra Salimbene de Adam con termini non propriamente elogiativi, raccontando che avesse una nipote, Mabiliaassai bella” e che “…messere Uberto Pelavicino la maritò a Pontremoli, sperando di aversi per via di lei quella borgata in sua signoria” (10).

Bardi


Nella identica situazione di Piacenza era Cremona, le cui merci dovevano subire pesanti pedaggi; il transito in Lunigiana, da e per Pontremoli, poteva non sempre essere agevole e quindi forse nell’ambito di rapporti commerciali interessanti, il 14/7/1183 abbiamo a Piacenza un accordo fra i Comuni di Piacenza e Cremona. I Piacentini danno assicurazione ai Cremonesi che si recano a Pontremoli di non avere molestie o danni, e di indennizzarli se patiranno danni. Importante dimostrazione del ruolo egemone del comune piacentino in quanto all’atto è presente Obizzo Malaspina, ma nessun rappresentante di Pontremoli, come sarà poi spesso; infatti negli atti che citiamo solo 4 volte sono citati testimoni di Pontremoli a dimostrazione, ci pare della loro totale dipendenza politica e anche economica da Piacenza. (11)

 Il lungo assedio politico e militare dei Piacentini appoggiati dai Pontremolesi, verso i Malaspina (12) che già nel 1141 avevano ceduto Compiano e la sua curia

Compiano


riottenendolo come feudo oblato, porterà alla resa degli eredi obertenghi, che cedono i loro beni in Valtaro con particolare riguardo ad Ena, che controlla l’estremità valtarese del Borgallo e Brattello e così nel 1189 con una Littere pacis, (13) termina definitivamente la signoria malaspiniana in Valtaro e i cardinali Pietro di Santa Cecilia e Sofredo di S.Maria di Via Lata,legati apostolici dettano le condizioni di pace tra Piacentini, Parmigiani e i marchesi Moruello,Obizzone e Alberto Malaspina con cui questi rinunciano per 4.000 lire ai loro possessi nel Valtarese, a non iniziare nessuna lite, a difendere i possessi dei Piacentini contro chiunque e a non dare aiuto a chi muove guerra a Piacenza.  “Io Moroello per me, Opizzone, e Alberto,miei fratelli , faccio pace per persone e cose di Piacenza  e “specialiter autem Pontremulensibus et Tedaldo comiti de Lavania, Reglio et illis de Pontulo et illis de Monte Arcili, de omnibus offensis,iniuriis et maleficiis in presenti guerra…et promitto vobis Placentinis securitatem in personis et rebus per totam terram et fortiam nostram et promittemus de adiuvare vos contra omnes nomine,salvo iuramento quo tenemur Papiensibus, Cremonensibus seu Parmansibus”. Altresì l’atto riconosce i diritti di Tedaldo, dei comites de Lavania e dei signori di Pontolo che già si erano dati a Piacenza. Importante il riconoscimento a Tedaldo che già da tempo cercava di insinuarsi nelle zone alte dell’Appennino, collegandosi con i possessi liguri di quella che fu poi la famiglia dei Fieschi.


Pontolo


Federico I nella ritirata da Roma del 1167, trova la strada sbarrata a Pontremoli, forse dal solo Comune o forse dalle truppe della Lega lombarda, costituita nel 1167 e come spesso viene indicato sale a Villafranca verso la via Regia e scende lungo la via per Pavia, accompagnato da Obizzo Malaspina, lungo quella che D.Ponzini chiama la “via marchesana”. Ne parla anche il Campi “ Ritornando poi Federico con l’esercito da Roma, passando per Viterbo e per Lucca, si portò a Pontremoli; ma, non avendo ancora i Pontremolesi deposto lo sdegno per il danno ricevuto dagli Alemanni, prendendo di nuovo le armi, gli proibirono il passo….”(Da C.Sigonio, De regno Italiae,vol XIV) (14)

Via Regia /da Mannoni)


mercoledì 1 settembre 2021

 Bizantini Longobardi e la Lunigiana- 14

La toponomastica come già visto per la valle del Verde, consente di individuare o comunque studiare una serie di località come possibili presenze bizantine. Già per Filattiera che il Maccarone derivò da felceteria, ignorando gli studi del Giuliani che la riconduceva ad un etimo realistico come fulacteria, torri di guardia.


Filattiera bizantina, da Mannoni


I diversi Filetti, come feileta presso Soliera, come feleta, oggi Filettino presso Isola di la Spezia. Poi Filatta vicino a Calice al Cornoviglio e due Filetta vicino a Ceparana e a Borghetto Vara. Non da ultimo il Filetto di Villafranca dove per la piazza superiore è ipotizzata la presenza di un castrum bizantino. Il Giuliani deriva il toponimo da philè/philètes che sta per tribù o corpo dell’esercito, ovvero località che venivano presidiate da bande armate o famiglie, al servizio dell’Impero.


Filetto


Alcuni studiosi sostengono che la zona da Luni verso il Passo della Cisa sia rimasta bizantina per un accordo fra i Bizantini e i duchi longobardi che nel decennale dell’Interregno, quindi prima di Autari, avrebbero invaso l’alta Valtaro.

Le fortificazioni bizantine sui contro crinali avrebbero permesso il passo di forze longobarde non importanti sul crinale e potrebbero avere bloccato penetrazioni da Lucca.

Luni che poteva fornire di risorse alimentari le popolazioni e i militari dell’interno potrà farlo sino a quando come detto, la flotta bizantina dovrà assolvere altri compiti e comunque il tempo dei Bizantini ormai accerchiati, in Lunigiana, doveva finire.

     

Ininfluente a nostro avviso la presenza longobarda in Lunigiana che potrebbe essere testimoniata solamente da pochi toponimi forse come Gaggio di Podenzana dove sorge nel XVII il santuario, Pesciola, Bardine e Gualdo nella valle dell’Aulella e altre tre località lungo la via del Brattello, come Bratto, Braia e Grondola, però a monte di Pontremoli, ma nessuna nella Valle del Verde. Interessante e congrua invece, la toponomastica in Valtaro e Ceno, riportata da Giulia Petracco Sicardi41.


La Madonna in Gaggio


Mancano poi tutte quelle testimonianze materiali che ritroviamo nelle adiacenti valli del Taro e del Ceno, fatta eccezione per la lapide di Leodegar posta nella chiesa di San Giorgio a Filattiera e databile al 752 d.C. Nell’importante lavoro il Mazzini tratta di una lapide marmorea rinvenuta da Pietro Ferrari, murata nella chiesa di San Giorgio a Filattiera, ma ipotizzata nel pavimento della pieve di Sorano. Incisa sette volte, descrive l’attività di un personaggio identificabile come un vescovo di Luni, Leodegar, colui che hidola fregit; morto nel 752, sotto Astolfo, ma operante nel periodo bizantino.42 


Lapide di Leodegar

 

                  

Ancor più significativa pare essere l’assenza di quei monasteri regi che ritroviamo nel nord Italia e in particolare nelle valli di cui trattiamo. In primis l’abbazia di Bobbio43 nel Piacentino, fondata da San Colombano monaco irlandese che giunge a Bobbio nel 612; Agilulfo e Teodolinda gli donano un terra dove era una chiesa dedicata a San Pietro, ormai abbandonata. Lì nasce la prima abbazia, forse costruita secondo il modello dei monasteri irlandesi e che vivrà secondo la Regola di San Colombano. Evidentemente la zona bobbiese era già sotto il controllo longobardo e l’abbazia come poi altre in Emilia e Lombardia, avrebbe avuto il compito di controllare il territorio di confine coi Bizantini.  


Abbazia di Bobbio

 

Poi i monasteri di Berceto lungo la via di Monte Bardone43, di Tolla e Gravago nella montagna di Parma44 che avevano il duplice compito di diffondere la fede e di presidiare il territori, lungo vie importanti.


 

Rovine di Tolla




Figura 16  XI Carta di Varsi

In Val di Vara sorge ai primi dell’VIII secolo su di una precedente chiesa bizantina, l’abbazia di Brugnato, ma per opera di un gruppo di monaci bobbiesi forse dissidenti, a testimonianza della conquista rotariana (643/4) antecedente, ma a sicura dimostrazione della scelta “politica” longobarda, assente quindi in Lunigiana.


Abbazia di Brugnato


 Il riconoscimento più importante della presenza longobarda nelle valli del Taro/Ceno ci pare poi essere il ritrovamento di ben XI Carte notarili longobarde a Varsi, legate a transazioni socio economiche della pieve di San Pietro, tutte scritte in latino, ma con attori con nome longobardo; l’ultima segnala l’arrivo dei Franchi nel 77445.  La constatazione che nella capitale Pavia le Carte siano solamente sette e di cui ben sei legate alla campagna cittadina, ci può indicare la loro importanza.


Carta longobarda di Varsi


L’estensione della diocesi cattolica di Luni in alta Valtaro, centrale fra quelle ariane di Piacenza e Parma, pare l’esempio più significativo del protrarsi del dominio bizantino in Val di Magra. Al momento dell’unificazione, essendo ormai i Longobardi diventati cattolici, non sarebbero sorti problemi.

Conclusioni

La scarsa presenza di toponimi situati poi in zone di confine della Lunigiana quali il Passo del Brattello, o eccentriche quali Bardine; l’assenza di reperti materiali anche modesti, oltreché dei monasteri di cui ben tre nelle tre vie e valli che afferiscono alla Lunigiana, nonché l’estensione della diocesi di Luni in Valtaro, pur nella considerazione che il parlare di confini in termini attuali relativamente al medioevo sia cosa assai difficile, ci potrebbe far concludere che nelle zone da noi studiate e considerate l’Impero bizantino rimarrebbe presente ancora per un secolo dopo l’impresa di Rotari, seppur circondato dalle forze longobarde.

Paolo Diacono scrive nella Storia dei Longobardi che partendo da Luni occupano le città della costa, sino in Francia, ma non accenna alla Lunigiana. Potrebbe anche essere che in un secondo tempo dopo il 643, tentino di penetrarvi, ma siano fermati dalla strettoia e dalla fortificazione di Aulla; il che non escluderebbe commercio ed altri rapporti. Questo ancor oggi ci fa pensare ad accordi “politici” legati al periodo dell’Interregno, ancor prima di Autari, più che a fatti di natura militare. 

 


Claudio Azzara

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